Onorevoli Colleghi! - La spesa pubblica finalizzata all'incentivazione della ripresa economica e dello sviluppo nel nostro Paese non deve essere vista solamente in termini di incentivi agli investimenti, magari rafforzando e qualificando l'offerta, ma anche con una adeguata politica di agevolazioni e di incentivazioni a una riduzione dei costi, anche tenendo d'occhio i consumi sociali primari ed i prodotti e servizi interni, che hanno in definitiva una grande incidenza sulla qualità della vita soprattutto delle fasce sociali più deboli ed esposte.
      Questo è l'obiettivo che si prefigge la proposta di legge che sottoponiamo alla vostra attenzione.
      È indispensabile, infatti, contrastare la grande corsa degli aumenti dei prezzi, per recuperare almeno una parte del vecchio potere di acquisto del reddito delle famiglie medie e meno abbienti, attraverso incentivazioni pubbliche alla stessa distribuzione, favorendo una sua razionalizzazione e di conseguenza una reale diminuzione del suo costo complessivo e per unità di prodotto e principalmente sui consumi sociali, in una logica di equa selezione sociale.
      In questo senso diversi sono i settori e gli ambiti sui quali è possibile intervenire efficacemente al fine di favorire un effettivo rientro dei prezzi e delle tariffe. Esaminiamo questi settori e quali possono essere gli specifici campi di intervento.

      Tariffe pubbliche. In questo settore risulta necessaria, tra le altre cose, una ridefinizione delle tariffe pubbliche e delle accise secondo criteri di bisogni sociali; un effettivo e maggiore controllo dei costi e delle tariffe; una ridefinizione dei sistemi di aggiornamento e di adeguamento automatici delle tariffe in rapporto al variare delle materie prime, sia nei tempi di applicazione che nei parametri valutativi;

 

Pag. 2

una consultazione e una contrattazione sociali con le associazioni rappresentative degli interessi diffusi degli utenti e dei consumatori, riconosciuti come rappresentanti del soggetto sottoposto all'onere di finanziamento del servizio. Insomma, una riduzione immediata delle tariffe di competenza pubblica e delle accise, quantomeno di quella parte corrispondente all'aumento dei relativi introiti fiscali.

      Tariffe dei servizi pubblici (convenzioni e concessioni). In questo ambito, tra i tanti interventi possibili, sottolineiamo il recupero di una funzione di soggetto terzo e super-partes delle Autorità di garanzia nelle controversie fra i soggetti del mercato con funzioni sanzionatorie per le violazioni degli obblighi contrattuali; uno sviluppo delle funzioni conoscitive e di analisi dei settori da parte delle Autorità di garanzia connesse con la funzione del riscontro di veridicità delle analisi dei costi; la previsione di strumenti di partecipazione e di controllo diretto da parte degli utenti attraverso le loro associazioni e le Autorità di garanzia, degli standard di qualità del servizio stabilito nelle concessioni e rispetto al quale sono determinate le tariffe, in assenza dei quali non è legittimata la tariffa stessa e si ha diritto al rimborso o all'indennizzo; la previsione di tetti massimi per gli utili delle società di erogazione dei pubblici servizi erogati in regime tariffario al di sopra dei quali si sostanzierebbero evidenti manipolazioni anche documentative di un corretto rapporto costi di gestione/tariffe; la verifica pubblica dei costi di base del calcolo delle tariffe; il principio di responsabilità amministrativa anti spreco e anti disservizi.

      Servizi pubblici liberalizzati (banche, assicurazioni, telecomunicazioni). Anche in questo settore è necessario prevedere norme finalizzate alla riduzione dei prezzi. Tra queste segnaliamo la necessità di definire dei limiti tra libera concorrenza e diritto al servizio pubblico, attraverso: l'individuazione di norme tese a contemperare la libera concorrenza tra le offerte e il diritto al servizio pubblico secondo criteri di rapporto costi/prezzi; la previsione di limiti antispeculazioni, in un quadro di democrazia economica, con la tutela dei soggetti più deboli e limiti ai soggetti forti del mercato, applicabili in termini percentuali al rapporto costi/prezzi dei servizi; lo sviluppo della concorrenza attraverso norme anti-cartelli e la previsione di norme per una rigida definizione e dimostrazione dei costi come presupposto indispensabile per una concorrenza al ribasso con l'attivazione del circuito virtuoso ottimizzazione dei costi/riduzione del prezzo; la contrattazione sociale dei criteri per la definizione di prezzi o di tariffe di servizi derivanti da obblighi di legge anche se forniti da soggetti privati, con le autorità di riferimento in funzione di soggetto terzo e di garante di rispetto degli accordi; l'individuazione come reato sanzionabile amministrativamente di ogni ostacolo posto al passaggio da un fornitore di servizio all'altro; una maggiore concorrenza e informazione; l'eliminazione della distorsione di mercato dell'assicurazione obbligatoria. È infatti indispensabile prevedere appropriate norme per la eliminazione della distorsione di mercato tra un soggetto obbligato per legge a una domanda e un altro libero di fornire una offerta connessa con la obbligatorietà dell'assicurazione RCA, con la istituzione di forme di assicurazione RCA alternative pubbliche, come la partecipazione al Fondo di garanzia per vittime della strada per i danni biologici e l'assunzione in proprio dei danni agli automezzi, per coloro che non riescono a stipulare un contratto assicurativo; l'eliminazione o la riduzione delle commissioni di massimo scoperto fra i costi bancari.

      Prodotti agroalimentari freschi. È indispensabile prevedere: l'esposizione del prezzo di acquisto e di vendita di tutti i passaggi come deterrente ad aumenti ingiustificati ed elemento conoscitivo necessario per una corretta concorrenza; un limite massimo - sulla base di specifici studi di settore - del ricarico rispetto al prezzo di acquisto per ciascun passaggio della filiera distributiva, determinato periodicamente dallo stesso andamento del mercato, in conformità alla legge vigente

 

Pag. 3

sull'usura, che sia il limite di distinguo tra una legittima transazione commerciale ed una illecita speculazione, se non addirittura un aggiotaggio; la creazione di strutture pubbliche di servizio per la conservazione e la preparazione commerciali del prodotto fresco, per trasformare la deperibilità da elemento di «ricatto commerciale» in servizio alla produzione e ristabilire una parità commerciale fra domanda ed offerta, eliminando quel punto di ricarico della filiera sostituendolo con una voce di costo aggiuntivo della produzione molto contenuta e irrisoria se gestita in modo pubblico dagli enti locali in sostituzione di tanti incentivi; l'incentivazione della filiera corta, ossia l'istituzione di un fondo per iniziative delle regioni e degli enti locali per la realizzazione di servizi alla commercializzazione accorpati e orientati alla diminuzione dei passaggi commerciali e alla diminuzione dei costi di distribuzione; un regime fiscale agevolato per le aziende di distribuzione che si impegnano al rispetto di norme anti-carovita.

      Generi alimentari conservati. Secondo una corretta etica di mercato il prezzo nel caso dei generi di prima necessità, specie se alimentari, lo deve applicare chi confeziona e garantisce il prodotto, la sua qualità ed i tempi di consumo, per far sì che la concorrenza commerciale si sviluppi nei termini di minore costo di produzione/minore prezzo e non possa divenire pura speculazione della distribuzione, per cui maggiori sono il bisogno e la domanda e maggiore è il prezzo indipendentemente dal costo. Tra i principali interventi da attuare, proponiamo: l'obbligo di determinazione del prezzo al consumo da parte del produttore-confezionatore con esplicito riferimento alla quantità con già inseriti gli oneri della distribuzione oggetto di accordo tra i vari soggetti operatori; l'obbligo di ritiro degli alimenti confezionati alla data della loro scadenza onde evitare fenomeni di vendita di alimenti non più commestibili e il cui valore commerciale non ha più alcuna corrispondenza con il prezzo. Il rapporto qualità/prezzo non è prerogativa del distributore ma del produttore; una etichettatura chiara e confrontabile per concorrenza qualità-quantità-prezzo; l'obbligo di registrazione e di autorizzazione della immissione sul mercato, con l'indicazione, oltre che del contenuto in termini di qualità e di quantità, anche della inammissibilità del prezzo che non deve superare un limite di ricarico speculativo nel rapporto costi/prezzi; la realizzazione di studi di settore con pubblicazione di bollettini dei prezzi medi, come informativa pubblica ai consumatori, in quanto non tutti sono in grado di valutare correttamente un rapporto qualità/prezzo e non per questo devono essere turlupinati in special modo quando si tratta di generi alimentari e di prima necessità; sconti e riduzioni di prezzi. Poiché in prossimità della scadenza un prodotto conservato vale oggettivamente meno in quanto ne è diminuita la disponibilità per il consumatore, sono da prevedere sistemi di sconto e di riduzione dei prezzi oppure campagne di consumo veloce; la previsione di un sistema di distribuzione basato sulla definizione del prezzo alla produzione comprensivo dei costi di distribuzione secondo accordi tra produzione e distribuzione, con indicazione di un solo prezzo, e previsione di un sistema di acquisto e di rivendita, a stoccaggio, con indicazione del doppio prezzo e una norma automatica di limitazione del ricarico, calcolata secondo parametri percentuali discendenti dall'andamento del mercato stesso; la liberalizzazione dei saldi.

      La presente proposta di legge prevede inoltre tre specifici articoli con i quali si dispone:

          1) l'abrogazione dell'articolo 118 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, in virtù del quale le banche godono della licenza di apportare modifiche unilaterali ai contratti di conto corrente, purché tali modifiche generalizzate - sempre sfavorevoli ai clienti - vengano pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. Non esiste nessun'altra impresa operante in Italia

 

Pag. 4

che goda di tali assurdi privilegi che penalizzano i consumatori e gli utenti dei servizi bancari, i quali non possono neppure cambiare banca, per l'esistenza di accordi di cartello favoriti dall'Associazione bancaria italiana, che impongono costi perfino per chiudere il conto corrente;

          2) la possibilità di utilizzare i cosiddetti «conti dormienti» o «silenti», ossia quei depositi di denaro, cassette di sicurezza, libretti di risparmio, assegni circolari mai rimborsati, titoli azionari od obbligazionari, cauzioni a qualsiasi titolo, appartenenti a persone decedute o scomparse che non risultano più movimentati né reclamati dai legittimi eredi, né in banca, né alla posta. Tali conti «dormienti» e iscritti nei bilanci delle banche, delle poste o delle finanziarie (problema sollevato per la prima volta cinque anni fa da Adusbef) sono stimati tra 14 e 15 miliardi di euro;

          3) la restituzione da parte della Banca d'Italia del cosiddetto «diritto di signoraggio» e la sua utilizzazione per sgravi fiscali a favore delle famiglie meno abbienti. Ricordiamo che una recente sentenza, suffragata da una ponderosa perizia tecnica, ha condannato la Banca d'Italia a restituire 87 euro a un cittadino, associato Adusbef, per aver incamerato un illecito diritto di signoraggio dal 1996 al 2003, e ha quantificato in 5 miliardi di euro l'indebito lucro complessivo. Il diritto di signoraggio nasce in passato, quando la circolazione era costituita soprattutto da monete in metalli preziosi (oro e argento) e ogni cittadino poteva chiedere al suo sovrano di coniargli monete con i lingotti d'oro e d'argento che egli portava alla zecca. Il sovrano ponendo la sua effigie sulla moneta, ne garantiva il valore. In cambio di questa garanzia, tuttavia, tratteneva per sé una certa quantità di metallo: l'esercizio di questo potere sovrano veniva chiamato «signoraggio». In definitiva, si tratta di una sorta di «reddito monetario» che la Banca d'Italia ha incassato regolarmente in conseguenza della sua attività e della circolazione di moneta, e che dovrebbe vedere lo Stato quale principale beneficiario e non le banche, che di fatto sono proprietarie della Banca d'Italia.

 

Pag. 5